Uno guarda la tappezzeria della sala da pranzo di Casa Verdi, e resta un po’ colpito dal disegno di una specie di tenda. Se guarda bene, la sente stranamente significativa. A un certo punto, è come se la leggesse in modo chiaro: è un sipario!
E allora, si guarda intorno, gira per le stanze, incontra gli Ospiti e s’accorge che sono tutti come appena al di qua di un sipario di un teatro, pronti a curiosare al di là o addirittura a varcarlo di nuovo. Teatro d’opera, naturalmente. Perché qui c’è chi disegna o dipinge, chi si occupa addirittura di computer o ne fa uso, chi si interessa di letture o scrive; e ci sono gli strumentisti.
Ma quando i grandi o meno grandi cantanti vengono a tenere affettuosamente concerto, qui nella grande sala, ammettono che è un tuffo nel mondo dell’opera. Sarà la presenza del quadro di Verdi, uno dei famosi e magnifici quadri del Boldini qui riprodotto, sarà l’atmosfera tipica della civiltà musicale italiana, soprattutto di ieri, come qui si può in particolare avvertire, si sentono prima accolti con cordialità, poi come intimiditi da un ascolto esigente, da certi confronti che girano per l’aria, e ancora più da una specie di attesa forte, appassionata, di vivere di nuovo l’opera in maniera fonda e grande.
Ma non solo: è come se qui - dicono - fossero a rapporto, per così dire, dai colleghi musicisti più anziani: quelli che hanno avuto in sorte, fortunatamente o sfortunatamente, con vicende diverse, la responsabilità di trasmettere la verità bella e grande del teatro d’opera.
Alcuni Ospiti trasmettono ancor oggi l’arte del canto direttamente, così come altri trasmettono l’arte dell’esecuzione strumentale. Ci sono giovani studenti che vivono qui, come fossero borsisti, aiutati nel diritto di compiere la loro formazione; e ci sono anche persone di varia età che vengono dall’esterno per ricevere dagli Ospiti lezioni e consigli preziosi.
Mi chiedo che cosa possa significare, soprattutto per un cantante, essere lì, con un maestro che ha vissuto a lungo la sua arte, sentendo che tutt’attorno è un ambiente di musicisti, ognuno con una sua storia, e soprattutto lì a un passo dalla tomba del grande Maestro. Scendere, magari, dopo la lezione, proprio nella cripta, e pensare che le decorazioni del Pogliaghi, quelle che abbiamo visto come celebrazione del mondo dell’opera, sono state compiute su commissione generosa di Teresa Stolz, la grande prima interprete di “Aida” e altre opere di Verdi e di lui fortemente amica...
Lì, gli Ospiti di Casa Verdi continuano a misurarsi con la loro arte. Nel rapporto con lo strumento, nel rapporto con le composizioni, devono misurare volta per volta la loro energia, il loro timbro di vitalità, la progressione delle loro forze. La vecchiaia comporta accettazioni continue di realtà non scelte e costruzione accanita di realtà nuove che la compensino. Costringe anche a provare, anche talora in modo crescente, il limite proprio, l’insoddisfazione del non riuscire a possedere la musica come nella giovinezza
C’è chi dice che questo sia un allontanarsi dalla musica e dalle sue grandi ragioni. Io penso che sia la fase decisiva di quel sentimento del limite fisico, mentale di quella precarietà che noi “chiusi nel rozzo cofano d’argilla” del nostro corpo, come diceva Shakespeare, abbiamo la fatica e il dovere di sentire.
La musica è sempre al di là, irraggiungibile, eppure non meno è dentro a noi, presente, operante. Felice chi può comunicarla ancora con pienezza; felice anche chi soltanto può tendersi a riconoscerla, a ripensarla, a far sentire che esiste.