Verdi sta anche davanti alla Casa di Riposo. Alto su un grande piedistallo, le mani unite dietro a sé, sotto la giacca, guarda lontano. È il monumento affidato a Enrico Butti, inaugurato il giorno del Centenario Verdiano, 10 ottobre 1913; monumento antiretorico, il Maestro è in atteggiamento rilassato. Immagine familiare ai milanesi, di quest’uomo partecipe che però sta anche un poco sulle sue e guarda lontano. Monumento casereccio coltivato con una specialità dei tempi democratici, secondo Alberto Savinio, nel 1944:
“Un passante appena più alto degli altri passanti, e che sta sempre fermo. Ma quando l’acqua, come oggi, viene giù a catinelle, è una pena vedere il nostro padre melodico esposto al diluvio a testa nuda e senza paltò. Si vorrebbe scavalcare la ringhierina di ferro battuto, aiutare il buon Maestro a scendere dallo zoccolo, dargli una mano per fargli attraversare la strada, accompagnarlo sotto l’ombrello dentro la Casa di Riposo”.
![](/fileadmin/_processed_/c/b/csm_casa-verdi_Casa_Verdi_res_1_6d2a367f3d.jpg)
Dentro la Casa di Riposo, naturalmente prima dell’inaugurazione, Verdi vi era stato molte volte, si aggirava per controllare, nell’impazienza che i lavori finissero, perché tanto era preciso, tanto ne era insofferente; e si aggirava anche per contemplare con una sua soddisfazione quella che, come è risaputo, considerava l’opera più bella della sua vita.
Nella prima pubblicazione sulla Casa di Riposo, edita da Ricordi, Leawington non riesce a escluderlo dalla descrizione delle stanze e del panorama che dalla Casa si vede:
“I refettori sono due ampie sale illuminate, ciascuna da due delle finestre bifore della facciata: prospettano, quindi, la piazza Michelangelo Buonarroti, donde si allarga un campo di vista sterminato, coronato lontanamente dai candidi pinnacoli del Duomo e più lontano da una fluttuante linea di fantasmi montani: sono le colline della Brianza, i monti del Comasco, che vagamente, con fluttuanti linee scendono alle vallate. È lo spettacolo areato, espanso al sole che il Grande Maestro tante volte s’indugiò a contemplare dalle terrazze laterali della casa. In piedi o seduto, immoto, con quell’acuto suo sguardo fosforescente, fermo o errante nervosamente, in quei supremi anni della gloriosa sua vita chi può dire quali pensieri accarezzasse, quali visioni risalutasse, quali ricordi, quali rimpianti, quali gioie o quali dolori a vicenda l’allietassero o lo turbassero. Evidente in ogni modo che certe sue pause (che talora si prolungavano, s’addensavano in veri silenzi) erano, o parevano, piene di tristezza, evidente che quel certo suo parlare a scatti, con voce fioca, rotta da secche risatine esprimeva un’emozione convulsa: signifcantissima, in ogni modo, per noi quell’aria che alla fine ricomponeva le linee del suo volto in un’espressione di pacata, conscia, quasi solenne soddisfazione, destituita d’ogni più tenue ombra d’orgoglio volgare’’.