Casa Verdi

A raccontare Casa Verdi il testo che Lorenzo Arruga, critico musicale oltre che regista e librettista, ha scritto per la pubblicazione Il riposo dell'artista - La “Casa Verdi” di Milano edito dal Touring Club Italiano nel 2002.

“Casa Verdi”. La chiamano così, da sempre. Niente “Casa di Riposo per Musicisti”, anche se quel “riposo”, voluto proprio da Verdi è così intenso e geniale; niente parole come istituzione, fondazione, istituto. Semplicemente “Casa Verdi”, come abitasse lì, come se chi va in quel luogo lo potesse incontrare. E lì è sepolto. C'è la cripta, solenne e un po' del gusto che riesce a essere insieme austero e quasi sovrabbondante, che è del poeta e librettista Boito e anche di suo fratello Camillo, architetto di questo palazzo.

Qualcosa di severo e di sontuoso, di non perfetto, ma di ordinato e simbolico, che è un po' il segno del teatro d'opera, e viene voglia, entrando, di saper cantare l'opera per poter pregare così, come faceva lui, laico e dubbioso ma costretto ad ammettere la necessità  di pregare proprio mentre faceva cantare.

Verdi è lì, morto, con accanto la sua sposa Giuseppina Strepponi. Un'indiscrezione che nasce da qualche confidenza dei discendenti del Maestro insinua che lui avesse pensato di aver tomba nella villa amatissima a Sant'Agata; e che poi, dopo aver scelto il nuovo luogo definitivo dell'ultimo riposo, avesse spiegato ai parenti: “Vi tolgo il fastidio di troppa gente che verrebbe a visitarmi da morto a casa vostra!”.

A Milano sanno tutti dov'è Casa Verdi. Chi non lo sa, è uno che viene da fuori, e se lo chiede a un passante, riceve pronta risposta. Quasi curioso questo fatto, che con tanta naturalezza un'iniziativa, un'istituzione, un luogo, una comunità , si siano inseriti familiarmente nell'esistenza di una città  dura e spesso indifferente come Milano.

Qualcosa di radicato, dentro la storia irrinunciabilmente. Pare che lo confermino i sondaggi, sui luoghi e sulle cose riconoscibili dei milanesi. Ma basta abitare a Milano per esserne sicuri. Si entra e si sente la storia che non invecchia. La modernità , l'aggiornamento, insomma la moda invecchiano. Le cose motivate, che esprimono una ragione buona, un'intelligenza concreta, un'occasione grande, vivono, proprio per quel che sono e senza uscire da un'immagine legata al loro tempo, la continuità  della storia.

Lì, in quel bell'ambientone ottocentesco, con le finestre grandi e gli spazi ampi, con i mobili che ci ricordano a volte quelli che abbiamo sempre visto nelle nostre case da generazioni, ma con qualcosa di importante, di intimo e solenne, ci si trova a proprio agio. Come in una casa della memoria che vorremmo lasciar sempre intatta, custodirla, con affetto.